“Cecily piange in bagno durante le mestruazioni.”
Mi è sembrato il titolo più adatto per questo recente dipinto, perché è questo il modo in cui è nato.
Cecily è una ragazza americana con la quale collaboro. Le avevo chiesto di farsi alcuni scatti con le mani davanti al viso per una serie alla quale sto lavorando, e lei mi ha proposto un paio di foto, spiegandomi proprio che l’aria un po’ triste e sofferente era dovuta proprio al fatto di essersi scattata le foto in bagno, durante le mestruazioni, in alcune giornate un po’ “no”.
Perfetto, ho pensato. E’ vero, autentico, non c’è bisogno di cercare chissà quale motivazione dietro un pianto.
Sebbene si tratti di una delle cose più naturali, le mestruazioni sono ancora un tabù per gran parte delle donne praticamente in tutto il mondo.
Parlare di ciclo mestruale è per molti ancora fonte di imbarazzo. Anche solo pronunciando in pubblico la parola “mestruazioni” sembra di aver infranto un sacro tabù, una sorta di legge non scritta, perché sono “le nostre cose”, cose private, da tenere ben nascoste.
Quindi anche appendere una didascalia a fianco a un dipinto con la parola “mestruazioni” crea visibile imbarazzo.
Se è un processo naturale, perché alle mestruazioni è ancora legato il concetto di “sporco”?
Le prime destinatarie di questo retaggio del patriarcato sono proprio le donne, il tabù del ciclo mestruale ci tocca dal menarca, la prima mestruazione, che spesso non veniva neppure nominata né spiegata (in alcuni paesi è ancora così). Io mi ricordo che non capivo come fosse possibile da un giorno all’altro “diventare signorine”. Lo sentivo dire da zie, le mamme delle amiche, veniva detto sottovoce e non alla presenza degli uomini “sai, è diventata signorina”….Cioè, un giorno stiamo giocando tutte insieme con le bambole, e il giorno dopo una di noi smette di giocare, perché è diventata “signorina”. A me successe l’ultimo giorno della prima media, all’uscita di scuola e naturalmente mi macchiai i pantaloni (neanche a dirlo, non avevo un assorbente nello zaino).
Ci sentiamo vittime di una ingiustizia, perché là fuori si parla di mestruazioni come di un processo naturale, ma nella pratica siamo invitate gentilmente a nasconderlo. Ci viene insegnato che è meglio non parlarne, è una cosa che va tenuta nascosta, va chiamata con altri nomi (“essere indisposte” “il ciclo” “ le nostre cose” etc ), lo scambiarsi gli assorbenti con le amiche di nascosto o infilarsi nella nella tasca più profonda della nostra borsa, con il terrore di alzarci dalla sedia con i pantaloni o la gonna macchiati, come fosse una oltraggio al pudore.
“Quei giorni” per molte donne sono faticosi non solo fisicamente, ma anche psicologicamente: non tutte, non sempre, ma è normale avere uno sballo ormonale che ci fa sentire tristi e depresse. Il ciclo femminile è fasico, mutevole, complesso, e differisce biologicamente da quello maschile, lineare, costante, semplice.
Qualcosa sta lentamente cambiando, e mentre si sta finalmente togliendo l’Iva sugli assorbenti (che è al 22%, come sui beni di lusso), anche le pubblicità e i media in genere hanno deciso di cambiare rotta e l’assorbente ha ripreso a colorarsi del normale colore rosso, e non dell’improbabile azzurrino-acqua.
E sapete che reazioni ci sono state? Moltissime donne contrarie a gridare “che schifo!”
Vedere una rappresentazione libera del sangue, il parlarne liberamente, mette in crisi questo sistema di valori sul quale abbiamo fatto affidamento per intere generazioni: la prima reazione sarà di rifiuto perché è il contrario di quanto ci hanno insegnato finora, ma è questo insegnamento a non essere assolutamente veritiero.
Di fatto il raggiungimento della parità di genere viene allontanato se continuiamo a non parlare liberamente di ciclo mestruale e di tutto ciò che lo riguarda.
Un piccolo, semplice passo verso il cambiamento è questo, chiamarle con il loro nome.
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