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Quando la regista Simona Vannelli mi ha commissionato la locandina per il suo spettacolo teatrale "La maestra dal grembiule rosso", stavo lavorando al progetto #quellache, e la prima cosa che ho pensato è stata allo strano caso che ha fatto incrociare la storia di Italia Donati, vittima dei pregiudizi a fine '800, con quella delle mie donne contemporanee, che ai pregiudizi e stereotipi hanno cercato di ribellarsi.

Qui sotto la storia di Italia, nelle parole di Simona Vannelli.

Lo spettacolo teatrale vedrà sul palcoscenico il susseguirsi di attori e attrici in una coralità di voci racchiuse nel loro intimo dolore. Sono i personaggi che hanno vissuto in prima persona, oppure sfiorato, in qualche modo la vita della giovane maestra. Le voci si intrecciano fra loro in un crescendo di emozioni. Emerge il senso di colpa di quasi tutti i personaggi, rei di non aver compreso il dolore di Italia Donati schiacciata dalla maldicenza e costretta a trovare la pace solo nella morte. La vicenda della “maestra dal grembiule rosso” si snoda in un periodo storico basilare per quanto riguarda l’istruzione. Siamo alla fine del 1800 e il livello di analfabetismo è altissimo nella Valdinievole, giusto le figlie dei ricchi potevano aspettarsi dalla vita il trattamento meno infame disponibile. Italia Donati, oltre che donna, era anche povera, due miserie che nessuno aveva voglia di alleviare. Nessuno tranne lei. A poco più di vent’anni, nel 1883, Italia lascia la sua famiglia di contadini analfabeti di Cintolese, nel comune di Monsummano, per cominciare la sua nuova vita. Contro ogni legge di classe, vincendo la fatica e il terrore dell’inadeguatezza, era riuscita a sottrarsi ai campi e alla filanda e a diventare maestra elementare.

A Porciano, nel comune di Lamporecchio l’aspettava il suo primo incarico, ma anche la ragnatela di violenze che in capo a tre anni l’avrebbero spinta al suicidio: le molestie e i ricatti sessuali del sindaco Raffello Torrigiani, le calunnie della gente, l’ostilità delle altre donne. Nessuno, a parte un paio di timide eccezioni, si schierò mai dalla sua parte. Italia era molto giovane ed anche molto sprovveduta tanto da precipitare sempre più a fondo in quella sorta di caccia alle streghe che la rese incapace di ribellarsi per il terrore di perdere il lavoro. Avvicinandosi alla storia di Italia ci si chiede tante volte “perché non se ne va?”. La stessa domanda che la scrittrice Elena Gianini Belotti si pone prima di dar vita al suo bellissimo libro “Prima della quiete”, dove ripercorre la vita stessa della sventurata maestra. Giustamente riflette sul fatto che era una domanda sbagliata, in quanto ripete quello “schema imposto” per cui è la vittima che deve sottrarsi alla persecuzione, mentre il persecutore non viene toccato.

Alla fine Italia se ne va davvero. Una mattina di giugno del 1886 indossa il suo “scandaloso” grembiule rosso, sale sul muretto del ponte e si getta nel bottaccio del mulino di Rimaggio. Il suo suicidio può sembrare una resa, ma invece è di fatto un atto d’accusa nei confronti di un popolo gretto, meschino e disumano. La sua ultima lettera è inequivocabile. Italia lascia il suo corpo esclusivamente per reclamare quella visita medica che gli era stata negata in vita e che avrebbe dimostrato la sua innocenza. Come poi è avvenuto. Perché uno spettacolo su Italia Donati? Perché ancora oggi a distanza di anni poco o niente è cambiato in tema di pregiudizio e maldicenza. Forme subdole di violenza che ancora oggi mietono vittime. Dopo aver conosciuto la storia di questa giovane maestra, tra l’altro vissuta in località a me conosciute, ho sentito il bisogno di parlare di lei, per ricordarla. Attraverso questo spettacolo dalla matrice pura del Teatro di parola ho cercato di ripercorre attraverso un coro di voci colei che ha sacrificato la propria voglia di vivere in nome della giustizia e dell’onore macchiati dalla maldicenza.

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Simona Vannelli, attrice e regista con Laura Corre.

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Simona Vannelli con Serena Dandini.

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